Sebbene l’innovazione sia sempre esistita nella storia, solo recentemente è diventata l’emblema della società moderna (Godin 2013).
Mentre in origine il termine indicava “la novità” nel senso più ampio del termine (includendo quindi anche l’imitazione, le invenzioni, l’immaginazione creativa, il cambiamento), recentemente ha assunto un’accezione molto più ristretta, fino ad arrivare a coincidere solamente con l’innovazione tecnologica o con l’innovazione commercializzabile.
Sembra esserci un’implicita assunzione che il successo, cioè il riconoscimento di cosa sia innovazione, dipenda dalla possibilità di trarne un vantaggio in termini commerciali o di performance dell’organizzazione.
Secondo Godin (2013), questo restringersi dell’idea di innovazione fino al farla coincidere con l’innovazione tecnologica si deve all’affermarsi della “cultura delle cose” o cultura materialistica, che nasce a partire dal Rinascimento. Non sorprende che in una buona parte della letteratura scientifica (e non) l’innovazione venga vista come un prodotto, in particolare un prodotto tecnologico.
L’INNOVAZIONE: un processo complesso.
Eppure l’innovazione non è un oggetto/prodotto ma un processo. Tale processo, da una parte richiede la generazione di nuove conoscenze e idee, ma anche la capacità di connetterle alle possibilità presenti nell’organizzazione stessa e nell’ambiente esterno (Bartel e Garud, 2009).
Definita in questo modo, l’innovazione implica l’idea stessa di complessità, includendo la generazione di nuove idee, la soluzione a problemi, le dinamiche organizzative e anche l’utilizzazione economica dell’intero processo. Il passaggio concettuale da prodotto a processo complesso sposta il campo di studio dall’ingegneria alla scienza dei sistemi complessi.
INNOVATORI: quali caratteristiche?
Poiché gli studi si sono focalizzati prevalentemente sulla valorizzazione economica dell’innovazione (Ramella, 2013), le persone pur essendo considerate il vero drive dell’innovazione sono state tipicamente escluse dalla ricerca empirica.
Le organizzazioni che vogliono essere innovative si trovano ad affrontare la sfida di identificare le persone innovative, ma anche a metterle in condizioni di crescere poiché da esse dipende la loro stessa sopravvivenza.
Ad occuparsi delle persone è stata la psicologia che dagli anni ’50 inizia a studiare la creatività. La letteratura sul tema, rispecchia l’oscillazione tipica delle scienze sociali che vede contrapporsi approcci individualisti, che tendono ad attribuire la capacità creativa ad un o a pochi individui dotati di capacità eccezionali e le prospettive olistiche, che attribuiscono un peso quasi esclusivo al contesto (chiunque in quel contesto avrebbe creato tale soluzione o prodotto tale idea).
Le prospettive attuali ritengono necessario un approccio integrato in cui si riconoscono le dimensioni individuali (caratteristiche personali e sociali), ma anche quelle relazionali e di contesto.
Si considera la creatività come la proprietà emergente in un sistema sociale complesso in cui è necessario sia la creazione di nuove idee, sia la capacità di implementarle, disseminarle e favorirne l’adozione di tale idea dall’organizzazione (Sawyer, 2006; West, 2002, 2003).
Amabile (1998, 2012) propone una teoria componenziale della creatività in ambito business costituita da 3 fattori principali:
Pensiero creativo: che include lo stile cognitivo, i tratti di personalità, gli elementi della storia di vita che spingono le persone a cercare indipendenza, propensione al rischio, la capacità di essere flessibili, la capacità di sintentizzare grandi moli di informazioni, ampiezza di interessi, capacità di autodisciplina e tolleranza dell’ambiguità;
Expertise di dominio specifica che include la conoscenza specifica sia dell’organizzazione sia le competenze tecniche;
Motivazione: deve esserci una motivazione intrinseca (dedizione e passione per il progetto).
Le prospettive più attuali riconoscono una maggiore complessità di interazione tra le motivazioni intrinseche ed estrinseche.
In particolare, le dinamiche socio-relazionali che agiscono a livello personale (relazioni significative quali quelle familiari, scolastiche e lavorative) hanno un grande impatto sulle motivazione intrinseche (Hessenssey e Amabile, 2010).
Inoltre, si abbandona l’idea del genio/sregolatezza, che viene sostituita dall’idea di innovatore che conosce in modo approfondito il suo ambito di lavoro, con una buona capacità di lavoro e di produttività.A partire da tali riflessioni, si è giunti all’attuale approccio socioculturale (Sawyer, 2006). Si tratta di un approccio interdisciplinare che integra le prospettive psicologiche, sociali e culturali. In questa prospettiva un’idea è innovativa non solo quando è originale, ma deve anche risultare appropriata. Il criterio di appropriatezza implica una qualche forma di riconoscimento sociale all’interno della comunità di riferimento. Inoltre, le persone creative/innovative non lo sono in generale, ma lo sono in particolari sfere di attività.
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